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19.10.2022 #arte

Vincenzo De Bellis

Nasce Paris +, la super fiera dove l’arte si mescolerà per sempre a moda e design

“A Parigi, il 90% delle istituzioni creative contemporanee è guidato da persone nominate da solo due anni. C’è un grande ricambio generazionale qui e siamo felici di far parte di questa nuova onda”

È uno dei curatori più apprezzati del mondo. Merito di una carriera in continua ascesa, senza frenate e scossoni. Lui è l’italiano Vincenzo De Bellis, 45 anni. Lo scorso mese di luglio è stato nominato director of fairs and exhibition platforms worldwide di Art Basel, la Fiera d’arte contemporanea e moderna più importante del mondo. Un ruolo di grande prestigio che rende ancor più luminoso il suo curriculum. Direttore di Peep-Hole (centro no-profit nella sede della storica fonderia Battaglia a Milano), direttore artistico del miart, Associate Director of Program del Visual Arts al Walker Art Center di Minneapolis: niente male per uno che ha iniziato giovanissimo, facendo il guardiano alla Fondazione Prada. 45 anni, nato a Castellana Grotte, piccolo centro di ventimila anime in provincia di Bari, De Bellis farà il suo esordio proprio a Parigi dal 20 al 23 ottobre in occasione di Paris+, capitolo parigino della fiera svizzera, allestito al Grand Palais Éphémère ai piedi della Tour Eiffel. Una prima assoluta sia per lui che per la capitale francese, che proprio da quest’anno entra a far parte del meraviglioso mondo di Art Basel aggiungendosi alle tappe di Hong Kong, Miami e ovviamente Basilea. Abbiamo incontrato Vincenzo poche ore prima dell’atteso opening.

Art Basel sbarca per la prima volta a Parigi: cosa ci dobbiamo aspettare da questa fiera?
C’è grandissima attesa. Sono arrivato ad Art Basel in agosto, ma chi è qui da più tempo, mi racconta di un’aspettativa senza precedenti. Quello che ci possiamo aspettare è il solito straordinario standard qualitativo che Art Basel conserva da mezzo secolo. Il tutto condito da un gusto tipicamente francese grazie alla presenza di moltissime gallerie transalpine. Ma Paris+ non è solo una fiera, è anche la chiave che permetterà l’apertura di spazi e collaborazioni istituzionali che coinvolgono l’intera città. Il team diretto da Clément Delépine ha fatto un lavoro straordinario e ha coinvolto molte realtà parigine. C’è fra l’altro una cosa che pochi forse hanno notato: il 90% delle istituzioni che qui si occupano di arte contemporanea è guidato da persone nominate da solo due anni. Insomma, c’è un grande ricambio generazionale e noi siamo felici di far parte di questa nuova onda.
@Patrick Tourneboeuf
Cosa avrà Parigi in più di Basilea, Hong Kong e Miami?
Avrà Parigi. La città francese è già una grande capitale dell’arte. Lo è stata storicamente tra l’800 e i primi anni del ‘900 e lo è oggi. Ma è anche uno snodo culturale, politico ed economico. In città convivono mondi diversi come il design e la moda. La loro fusione con l’arte diventerà il marchio di questa fiera nei prossimi anni.
E’ stato nominato da poco direttore delle fiere e delle piattaforme espositive di Art Basel: cosa farà esattamente?
La mia è una doppia carica. Dirigerò l’operato dei direttori delle fiere di Art Basel a Basilea, Miami, Parigi e Hong Kong. Marc Spiegler, Global Director, sarà poi il punto di riferimento finale. Ma non solo: il mio ruolo mi consente di sviluppare il brand globale di Art Basel. La definizione di Exhibition Platforms riguarda i nuovi progetti che la Fiera realizzerà nei prossimi anni, non per forza legati alle quattro fiere. Io sarò a capo del team e porterò la mia esperienza di curatore.
C’è un trend, un Paese, una corrente o un singolo artista su cui possiamo puntare per il futuro?
Sono il direttore della Fiera: non posso rispondere a questa domanda. È un po’ come chiedere a un papà di scegliere uno tra i suoi figli. Però posso dire questo: quando c’è un trend significa che tutto è già diventato mainstream. La bravura in questi casi è riuscire a individuare chi resterà una volta finita la moda.
E come si individua?
È il vero mistero. Tutto dipende dalla qualità dell’opera, ma anche da altri fattori legati alla personalità dell’artista e al suo modo di vivere. È molto difficile. Per questo se io fossi un collezionista, non comprerei mai un’opera solo per fare un investimento ma anche per puro istinto viscerale.
Arriva ad Art Basel dopo essere stato curatore al Walker Art Center: un bilancio?
È stata un’esperienza straordinaria. Ho curato tantissime mostre. Da Jimmie Durham: At the center of the World (2017); fino a American Art 1961-2001: the Walker Art Center Collections from Andy Warhol to Kara Walker (2021). L’ultima è Jannis Kounellis in Six Acts, inaugurata proprio il 14 ottobre. Ma anche a Minneapolis non ho fatto solo il curatore. Ho portato in collezione oltre 150 opere tra donazioni e acquisizioni. Mi sono occupato di fundraising, ho gestito il team curatoriale, ho creato il piano strategico quinquennale. Sono stati sei anni importantissimi in cui sono cresciuto molto.
Era lì quando George Floyd è stato ucciso: com’è stato vivere a Minneapolis in quei giorni?
È stato davvero difficile. Io e la mia famiglia abbiamo iniziato a vedere la città in modo diverso. Qualcosa dopo quella vicenda è cambiato: Minneapolis non era più quel posto idilliaco in cui avevamo vissuto. L’omicidio Floyd è stato come ricevere uno schiaffo in faccia che ci ha messo davanti la dura realtà.
L’arte per lei deve essere civile o incivile?
L’arte deve essere sempre civile, ma ribelle
Tre artisti che rimarranno per sempre?
Ce ne sono molti più. Ma scelgo tre nomi di under 40: Jennifer Packer, Justin Caguiat e Julien Nguyen.
Se la gente non capisce l’arte contemporanea di chi è la colpa?
Di nessuno. L’arte contemporanea non va capita, va coltivata e va accettata. Certo, noi addetti ai lavori dobbiamo cercare di trovare i modi per renderla più digeribile. Ma se l’arte fosse chiara a tutti non sarebbe quel detonatore che per fortuna è. Perché il suo compito è accompagnarci a volte per mano, a volte a calci nel sedere, in luoghi inaspettati per guardare il mondo attraverso infinite sfumature.
Ha iniziato come guardiano della Fondazione Prada, esperienza che ha definito “una svolta”. Perché è stato un momento così fondamentale?
Perché lì ho visto (non conosciuto, solo visto) Germano Celant e ho capito che volevo fare il suo lavoro.
@Ludovica Arcero

Perché fuori dall’Italia gli artisti non riescono a imporsi? Cosa manca?

Mancano diverse cose. Innanzitutto dobbiamo renderci conto di essere stati il centro dell’universo ma di non esserlo più. Noi italiani siamo un po’ come i nobili del romanzo Il Gattopardo: pensiamo ancora che la nostra grande storia sia sufficiente per stare sempre in primo piano. Ma non è così. La nostra storia ci offre tanto perché ci rende sofisticati e più preparati, ma non è sufficiente. Contare oggi significa essere contemporanei e affrontare le questioni urgenti che coinvolgono l’umanità. Non è un caso che l’ultima vera grande stagione dell’arte italiana è stata negli anni 60 quando il nostro paese, un po’ come la Francia, era al centro della storia. Ma i problemi non sono finiti. Il sistema dell’arte italiano non offre adeguati supporti, c’è un’endemica mancanza di ricambio generazionale nelle istituzioni. L’arte contemporanea è per sua natura generazionale e questo porta a una assenza totale di novità. Un altro problema coinvolge poi anche le accademie che dovrebbero svecchiarsi e permettere agli artisti di insegnare sempre di più: perché l’arte, come molte altre cose, si impara non dai professionisti della cattedra ma da chi vive direttamente sul campo.
Mi dica la verità, le piacerebbe essere il suo assistente?
Qualche anno fa avrei detto di sì (e sono certo che chi ha ricoperto quel ruolo riderà moltissimo leggendo questa risposta). Oggi però le rispondo di no, anche se in fondo penso di essere migliorato molto: sono diventato più disciplinato e organizzato rispetto a ieri.
Se non avesse fatto il curatore?
I miei genitori, dato che sono un noto rompiscatole, dicono sempre che avrei dovuto fare l’avvocato o il sindacalista. Il mio sogno nascosto però era diventare regista cinematografico. Le cose sono andate diversamente ma non mi posso lamentare. Se dovessi però cambiare radicalmente mestiere mi piacerebbe fare qualcosa che sia legato al mare. Chissà, magari un giorno…

 

Intervista : Germano D’Acquisto

Ritratti di Vincenzo De Bellis : Jean Picon

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