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27.03.2023 #arte

Sarah Cosulich

La Pinacoteca Agnelli è un catalizzatore di passioni

Chi viene qui non ama solo l’arte, ma anche la velocità, le automobili, il paesaggio e l’archeologia industriale

Un centro dinamico dove gli estremi (almeno in apparenza) dialogano pacificamente fra loro. Come il passato e il presente, l’archeologia industriale e gli scorci del centro storico di Torino, l’arte contemporanea e chi crede, sbagliando, di essere lontano anni luce da essa. E’ la Pinacoteca Agnelli, vero e proprio scrigno delle meraviglie incastonato all’interno del Lingotto. Da fine maggio dell’anno scorso qui si è aperto “un nuovo corso” (da queste parti tutti lo chiamano così). A guidarlo è stata scelta Sarah Cosulich, che con la città della Mole sembra avere un legame tutto particolare. Triestina, diverse esperienze internazionali, cinque anni alla direzione di Artissima, punta decisa a trasformare l’istituzione in un ponte tra i linguaggi multidisciplinari del nostro quotidiano e la storica collezione. Simbolo indiscusso di questo nuovo viaggio è la Pista 500, iconica pista di collaudo delle auto FIAT sul tetto del Lingotto, trasformata in museo a cielo aperto. Un luogo magico capace di riassumere in un colpo solo tutto il senso di questo ambizioso progetto, che da marzo a luglio farà da cornice alla mostra Strike, dove si racconta l’epopea creativa di Lee Lozano, una delle artiste più geniali, ribelli e controverse della storia. Incontriamo la direttrice.

In cosa si differenzia una realtà come questa rispetto a tutte le altre istituzioni d’arte contemporanea italiane?

Nella possibilità di coinvolgere un pubblico sempre più ampio e diversificato. Chi viene qui non ama solo l’arte, ma anche la velocità, le automobili, il paesaggio e l’archeologia industriale. Siamo un catalizzatore di passioni, tutte diverse fra loro. E’ questa la nostra vera identità. La scelta di aprire un nuovo corso è stata della presidente Ginevra Elkann e il supporto alla realizzazione del nostro programma arriva dal nostro main partner Fiat.

Come si caratterizza il nuovo programma espositivo dello spazio?

Abbiamo tre filoni specifici: il primo è quello della Pista 500, un giardino sospeso dove ospitiamo e produciamo progetti site-specific e installazioni ambientali firmate da artisti internazionali. Il secondo riguarda la riattivazione della collezione permanente con Beyond the Collection, progetto annuale che vuole riflettere sulle presenze e le assenze della collezione (Picasso, Tiepolo, Modigliani, Canaletto, Manet, Matisse tra gli altri) in relazione con importanti istituzioni internazionali; e infine, al terzo piano, abbiamo un nuovo programma di mostre temporanee focalizzate su artisti pionieri che consolidano il ruolo dell’istituzione nel panorama internazionale dell’arte di oggi. In passato abbiamo portato qui Sylvie Fleury. Ora è arrivato il momento dell’americana Lee Lozano.

Già, a proposito, cosa ci dobbiamo aspettare da Strike?

Vivremo un viaggio attraverso il percorso eclettico di Lee Lozano durante la sua carriera, durata solo dodici anni, dal 1960 al 1972 quando si ritira dal mondo dell’arte come azione artistica: dai primi disegni alle tele figurative espressioniste, ai monumentali astratti fino ai suoi Language Pieces concettuali. Gli immaginari di questa artista radicale e rivoluzionaria si sviluppano spesso a partire da armi e attrezzi antropomorfizzati, organi sessuali maschili come simboli del potere patriarcale slogan duri come pugni nello stomaco che rivelano una ribellione contro ogni regola della società.

Perché Lee è così poco conosciuta?

E’ un’artista importante e riconosciuta da musei e addetti ai lavori ma il suo lavoro non si è visto spesso in Europa. La nostra è la prima mostra monografica in Italia. Le sue scelte d’arte e di vita sicuramente l’hanno penalizzata, avendo scelto di ritirarsi e di rifiutare il sistema dell’arte coerentemente con la ricerca che portava avanti con il suo lavoro. Il gesto estremo di una figura che ha sperimentato ogni linguaggio. La sua opera si confronta con il corpo e con l’identità, anche la sua, come testimoniano i lavori in cui classificava i suoi esperimenti e i suoi comportamenti. Satirica e violenta, feroce contro ogni ordine precostituito e, a volte, contro se stessa, è un’artista che unisce corpo, erotismo, viscere e matematica. Insomma una figura affascinante la cui storia e le cui ossessioni vanno raccontate perché sono quantomai attuali.

Cosa ha ispirato la necessità di creare una continuità con la Collezione Pinault (la mostra a settembre sarà allestita alla Bourse di Parigi)?

Tutto è nato spontaneamente. La Pinacoteca oggi produce ogni sua mostra internamente. Quando, nel costruire questo progetto, ci siamo rivolte alla Collezione Pinault per chiederle in prestito delle opere (Pinault è uno dei più grandi collezionisti europei di Lozano), ci hanno chiesto di poter esporre la mostra alla Bourse de Commerce  a Parigi.

Il Lingotto, la fabbrica, l’architettura: qual è il vostro rapporto con la città di Torino?

Con la nuova programmazione abbiamo aperto la Pista 500 alla città. Dal tetto del Lingotto si possono ammirare il capoluogo piemontese e le montagne da un punto di vista del tutto inconsueto. È quasi metafora del nostro ruolo: offrire visuali inattese. Il progetto di Pista 500 viene arricchito con installazioni ideate specificamente da artiste e artisti internazionali per i suoi spazi ed è pensato per ampliare l’esperienza di un luogo simbolico della città, rendendolo una destinazione culturale accessibile a tutti. Qui le opere dialogano con la riconversione del tetto del Lingotto da circuito chiuso a strada aperta, da luogo produttivo a spazio da abitare insieme. Il rapporto con le varie realtà locali è costante e molto stretto: col Comune, con la Regione col Salone del libro…

E’ nata a Trieste ma qui vive da ormai dieci anni: cos’ha di così speciale Torino?

Ho imparato ad amare questo luogo. È una città chiusa, silenziosa ma anche elegante e sperimentale. Purtroppo non sempre sa valorizzare i suoi talenti che rimangono nascosti.

Qual è per lei il più grande pregio di Torino?

Il suo mistero.

E il più grande difetto?

Il suo silenzio, appunto.

Se la gente non capisce l’arte contemporanea di chi è la colpa?

Non parlerei di colpa. Ma bisognerebbe lavorare più seriamente con la scuola e i suoi programmi. visto che nei libri di testo non esiste la contemporaneità. Bisognerebbe spiegare ai ragazzi che l’arte contemporanea non deve spaventare e, soprattutto, che non è obbligatorio capire.

Quanto il potere dell’apparire oggi condiziona il mondo dell’arte?

Molto. L’arte è diventata una moda e una forma di investimento. E questo nuoce alla ricerca. Si va sempre meno alla scoperta di ciò che ci incuriosisce davvero. L’artista si trova dentro questo sistema che divora e digerisce tutto alla velocità della luce. Si inseguono modelli quando invece bisognerebbe rimanere fedeli a se stessi. Ma poi io credo fortemente nel valore del tempo che alla fine ripulisce ogni cosa.

Miuccia Prada, interrogata su Qual sia il modo migliore per vivere un’opera d’arte, ha risposto: “Rapidamente. Ciò che conta è la prima impressione”. Condivide?

Non troppo. La mia figura di riferimento è Kasper König, uno dei più grandi curatori di tutti i tempi, che diceva: “se una cosa ti piace troppo subito devi farti delle domande”. Talvolta vale la pena approfondire cose che inizialmente infastidiscono. Anche quella è una reazione da tenere in considerazione. 

Le piacerebbe essere il suo assistente?

Credo di no (ride). Perché sono una rompiscatole e sono testarda. Però non credo troppo nelle gerarchie, sono molto accessibile e alla fine ascolto. Con un po’ di pazienza si va d’accordo con me.

Se non avesse fatto la curatrice cosa avrebbe fatto nella vita?

Non saprei. Sono una persona razionale che ama l’irrazionalità: l’arte mi permette di far convivere questi due estremi.

 

Intervista : Redazione Say Who Italia

Foto : Ludovica Arcero

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