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19.05.2023 #design

Gayane Umerova

Il Padiglione dell’Uzbekistan, mistico crocevia fra passato e futuro

“Il nostro progetto invita il pubblico a intraprendere  un viaggio dove convivono tradizione e architettura contemporanea”

E’ il volto della cultura e dell’arte uzbeka nel mondo. Una sorta di garante per tutte quelle meraviglie, così poco note, che questo grande Paese dell’Asia Centrale esporta – quasi con discrezione – nelle varie capitali della creatività. Gayane Umerova, classe 1985, è il direttore esecutivo della Art and Culture Development Foundation della Repubblica dell’Uzbekistan. Critico d’arte, è anche segretario generale della Commissione Nazionale dell’Uzbekistan per gli Affari dell’Unesco. Alla Biennale di Architettura 2023 ha giocato un ruolo decisivo nella realizzazione del Padiglione Uzbeko, curato dal super studio di architettura Studio K0, fondato dagli architetti francesi Karl Fournier e Olivier Marty (gli stessi che hanno firmato il museo Yves Saint Laurent di Marrakech). Il progetto, presentato negli spazi dell’Arsenale di Venezia, si intitola “Unbuild Together: Archaism vs. Modernity” e rende omaggio al patrimonio architettonico uzbeko mixando tradizione e modernità in un equilibro quasi perfetto. Incontriamo Gayane Umerova proprio il giorno dell’opening ufficiale.

Gayane Umerova

Cosa dobbiamo aspettarci dal Padiglione Uzbeko?

Sarà come un viaggio di trasformazione nel corso dei secoli. Una sorta di danza in cui convivono artigianato tradizionale e linguaggio architettonico contemporaneo. Si tratta di una piattaforma per il dialogo, che innesca nuove conversazioni sulla coesistenza di passato e futuro. Fondamentalmente, questa mostra è una sfida: perché esplora la simbiosi tra vecchio e nuovo e celebra la convivenza tra arcaismo e modernità, che è poi l’aspetto che rende l’architettura una testimonianza vivente dell’ingegno umano.

Cosa racconta l’architettura uzbeka più delle altre?

L’architettura uzbeka offre una narrazione evocativa che va al di là dei mattoni e della malta. È un’incarnazione della nostra vibrante storia culturale, che parla di civiltà passate, di commerci lungo la Via della Seta, di artigianato sublime tramandato attraverso le generazioni e di una radicata resilienza al tempo e al cambiamento. Non si tratta solo di realizzare strutture, ma della confluenza di persone, storie e idee. Il dialogo tra tradizione e innovazione all’interno della nostra architettura  è un coro unico, che aggiunge ogni volta una voce diversa alla sinfonia architettonica globale. Parla alla nostra umanità condivisa e colma i divari tra le differenti culture.

Studio KO sta lavorando alla ristrutturazione del vecchio impianto diesel di Tashkent, che presto diventerà sede del Center for Contemporary Arts. Come è stata l’esperienza veneziana con questo grande studio d’architettura?

Il nostro rapporto con Studio KO non si è limitato solo alle mura del laboratorio o al padiglione, ma si è esteso oltre. Anche dopo la conclusione dei vari workshop, gli architetti sono rimasti in contatto con noi, continuando a promuovere connessioni. La loro relazione continuativa con gli studenti è decisiva perché li incoraggia ad adottare un approccio consapevole e rispettoso nei confronti del nostro patrimonio architettonico mentre sono impegnati a guardare al futuro. Questa passione condivisa per l’architettura ha contribuito al successo di “Unbuild Together”. Per questo siamo grati del loro continuo e instancabile impegno.

Il titolo della Biennale 2023 parla di futuro eppure voi  vi ispirate al passato. Sembra quasi un’antinomia…?

Affatto. Il nostro è un dialogo armonioso tra passato e futuro. Il “Laboratorio del futuro” ci invita a immaginare il nostro domani, cercando di comprendere il nostro ieri. “Unbuild Together: Archaism vs. Modernity” vive grazie a questa dualità. Il passato, simboleggiato dal nostro ricco patrimonio architettonico, è un deposito di saggezza e conoscenza. Studiando tecniche e materiali tradizionali riusciamo a liberare molte risorse per guidare la nostra architettura del futuro. In “Unbuild Together”, miriamo a colmare il divario tra l’architettura tradizionale e quella moderna, dimostrando come l’una può valorizzare l’altra. Questo intreccio di vecchio e nuovo riflette l’essenza stessa di un laboratorio o di una bottega artigiana, dove gli esperimenti portano sempre all’innovazione. Quindi, a nostro avviso, un viaggio nel passato per plasmare il futuro non è una contraddizione, ma un percorso necessario da seguire.

Qual è il segreto dei tradizionali mattoni uzbeki e perché potrebbero essere proprio loro una delle chiavi per affrontare le sfide del futuro?

I mattoni uzbeki incarnano una combinazione di storia, cultura, artigianato e sostenibilità ambientale. Sono realizzati utilizzando materiali di provenienza locale e tecniche secolari che riflettono la saggezza dei nostri antenati che hanno compreso l’importanza di armonizzarsi con la natura. Ogni mattone racconta una storia della terra da cui è stato realizzato, delle mani che lo hanno plasmato e della comunità che ha servito. Ci sono diversi motivi per cui potrebbero essere la chiave per progettare il futuro. In primo luogo, simboleggiano pratiche sostenibili. Mentre affrontiamo gli effetti del cambiamento climatico, tornare a tecniche di costruzione che utilizzano le risorse naturali disponibili a livello locale può contribuire a ridurre l’impatto ambientale delle nostre infrastrutture. In secondo luogo, ci ricordano il valore dell’artigianato in un mondo sempre più automatizzato. Le abilità, le conoscenze e la cura coinvolte nella creazione di questi mattoni forniscono un profondo senso di autenticità che non può essere replicato dalle macchine. Infine, sono un legame tangibile tra il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro futuro. Incorporandoli in un design moderno, preserviamo il nostro patrimonio e ci impegniamo a ispirare futuro. Questo è il modo in cui “decostruiamo”, smantellando le nozioni preconcette su come dovrebbe essere la modernità reinventandola in armonia con le nostre radici culturali e gli obblighi ambientali.

Grazie a voi il pubblico potrà scoprire le leggendarie fortezze di sabbia uzbeke chiamate qalas

Le qalas sono state testimoni del tempo, resistendo a secoli di cambiamento. Simboleggiano la resilienza, la resistenza e la perfetta integrazione della creazione umana con la natura. Il catalogo di accompagnamento è una componente significativa di questo viaggio di esplorazione. Inizia presentando una serie di immagini che offrono un’immersione sensoriale nei temi che abbiamo scelto di esplorare: il concetto di rovine, labirinti, terra e paesaggi storici e fisici dell’Uzbekistan. Nella seconda sezione approfondiamo questi temi con contributi di illustri esperti in vari campi. Abbiamo il privilegio di includere approfondimenti accademici di rinomati archeologi come Irina Arzhantseva, Oktyabr Dospanov e Rocco Rante, che offrono prospettive inestimabili sulla coesistenza di arcaismo e modernità. Il catalogo accompagna i lettori in un percorso esplorativo, ripercorrendo l’eredità della spedizione di Sergey Tolstov a Khorezm e il successivo viaggio di Igor Savitsky che ne ha poi ripercorso le orme. Approfondiamo l’affascinante tour del mattone in Asia centrale e a Bukhara ed esploriamo il mito del labirinto. La terza parte è una sorta di un diario personale e prende vita attraverso l’obiettivo di Emine Gözde Sevim, che ha accompagnato gli studenti e gli artisti durante i workshop organizzati da Studio KO in Uzbekistan. Le foto offrono uno sguardo intimo sui qalas del Karakalpakstan, sui monumenti di Bukhara e sulla capitale Tashkent. Ma soprattutto le foto raccontano agli spettatori la passione, la meraviglia, i dubbi e le scoperte vissuti dagli studenti. Insomma, ”Unbuild Together” non è solo una mostra, ma un’avventura coinvolgente che speriamo ispiri una comprensione e un apprezzamento più profondi del ricco patrimonio architettonico dell’Uzbekistan e della sua rilevanza per il nostro futuro collettivo.

Per il Padiglione Uzbeco è stata scelta la struttura del labirinto. Quando si entra sembra quasi di camminare per Venezia. Non è vero? 

In effetti, la scelta di una struttura labirintica ricorda le strade tortuose di Venezia. È un riflesso deliberato e poetico del nostro viaggio attraverso i complessi strati della storia dell’architettura e dell’identità culturale. Venezia, proprio come le antiche città dell’Uzbekistan, è una testimonianza vivente degli strati del tempo, un labirinto in cui si intrecciano passato, presente e futuro. Il labirinto funge da metafora del nostro comune viaggio di esplorazione e scoperta. Invita i visitatori a perdersi, a vagare e, così facendo, a incontrare prospettive, intuizioni e connessioni inaspettate. Attraverso la struttura del labirinto, vogliamo evocare lo spirito di esplorazione e la gioia della scoperta che è centrale nell’esperienza umana. Proprio come si naviga attraverso le strade tortuose di Venezia, il viaggio attraverso il nostro padiglione non riguarda semplicemente il raggiungimento della fine, ma riguarda le esperienze, gli incontri e le intuizioni raccolte lungo il percorso.

L’anno scorso due grandi mostre sull’arte uzbeka sono state ospitate al Louvre e all’Institut du Monde Arabe di Parigi: perché secondo lei la vostra creatività è molto poco conosciuta?

Ci sono diversi fattori. Innanzitutto, lo stato di cose attuale è un riflesso della situazione geopolitica storica. Per gran parte del XX secolo, l’Uzbekistan, in quanto parte dell’Unione Sovietica, ha avuto scambi culturali limitati con l’Occidente. Durante questo periodo, le tradizioni artistiche locali hanno continuato a prosperare, ma sono staste spesso trascurate nelle grandi discussioni internazionali sull’arte. Inoltre, l’arte uzbeka è profondamente radicata in un contesto storico e culturale che è unico per l’Asia centrale. Il simbolismo, l’estetica e le narrazioni incorporate nelle nostre tradizioni artistiche potrebbero non essere immediatamente accessibili a chi non ha familiarità con questo contesto. Ciò si aggiunge all’esotismo e al mistero che la nostra creatività lascia trasparire oltre a una sua oggettiva sottorappresentazione. Tuttavia, le recenti mostre della Fondazione per lo sviluppo dell’arte e della cultura della Repubblica dell’Uzbekistan al Louvre e all’Institut du Monde Arabe di Parigi segnano una svolta. Dimostrano un crescente interesse per le nostre tradizioni artistiche. Man mano che i dialoghi culturali diventano più globali e inclusivi, ci aspettiamo che l’arte uzbeka ottenga il riconoscimento che merita, consentendo al resto del mondo di apprezzarne la profondità, la diversità e la bellezza.

Gayane Umerova

 

Intervista: Germano D’Acquisto

Foto: Ludovica Arcero

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