KAWS
I personaggi sono il mio modo di comunicare e di instaurare relazioni universali, senza barriere linguistiche
«Cerco di essere autentico. Non voglio eroi eternamente felici, ma figure che generino un dialogo sulla condizione umana»
Nel cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi, tra pietre antiche e archi che raccontano secoli di storia, si staglia THE MESSAGE, nuova installazione site-specific di KAWS, l’artista americano che ha saputo trasformare il gioco e il design in linguaggio universale dell’arte contemporanea. Nato a Jersey City nel 1974, Brian Donnelly – questo il suo vero nome – ha attraversato graffiti, cartelloni pubblicitari e playground urbani per arrivare a creare figure iconiche come Companion e Chum, personaggi che sono allo stesso tempo giocattoli da collezione e sofisticati commentari sulla società contemporanea.
Se i loro occhi a X evocano malinconia, fragilità e un senso di precarietà, la forma familiare rimanda ai cartoon della nostra infanzia, creando un cortocircuito emozionale che unisce nostalgia e inquietudine. Da Manhattan a Tokyo, dalle sculture galleggianti di Hong Kong alle capsule collection con Dior e Uniqlo, KAWS ha saputo abbattere le barriere tra arte, moda e cultura pop, rendendo l’arte accessibile a un pubblico che va dai 9 ai 99 anni. A Firenze, il dialogo con la storia è diretto: THE MESSAGE reinterpreta il tema dell’Annunciazione, in contemporanea con la mostra dedicata a Beato Angelico, creando un incontro inedito tra l’iconografia rinascimentale e la sensibilità contemporanea di un artista che, senza retorica, sa parlare al presente. Qui, Companion e Chum non sono più solo personaggi da collezione, ma interpreti di un tempo condiviso, sospesi tra meraviglia, ironia e riflessione sulla condizione umana, in equilibrio tra lo sguardo antico del palazzo e il mondo iperconnesso che ci circonda….

Cominciamo dal nome d’arte, KAWS. Cosa significa e perché lo ha scelto?
Nasce dai graffiti. Quando scrivevo tag mi sono reso conto che usare un nome d’arte creava una distanza tra me e il mio lavoro, rendendolo più accessibile e universale. Mi è piaciuto e l’ho mantenuto, perché mi permette di lavorare quasi in terza persona.
Ha iniziato con la street art. Può raccontarci il suo percorso dalla strada ai maggiori musei del mondo?
Da giovane non distinguevo tra arte “alta” o “bassa”. Dipingere per strada era la mia opportunità di interagire creativamente con altri coetanei. Con il tempo sono arrivate nuove possibilità, ho sperimentato materiali diversi e ho colto le occasioni man mano che si presentavano, come nel caso dell’installazione a Palazzo Strozzi.

Qual è stata la svolta che ti ha reso un artista di fama internazionale?
Non credo ci sia stata una svolta precisa. Sono grato per le opportunità e i progetti, ma in studio penso solo a ciò che ho davanti e a fare al meglio quello che posso in quel momento..
Il suo lavoro attraversa arte, design, moda e pop culture. Come vede i confini dell’arte?
Non ci sono confini. Tutto ciò che viviamo contribuisce alla nostra esperienza. Che sia un capo di abbigliamento o un orologio, ogni esperienza può ispirare. Mi piace esplorare mondi diversi e imparare sempre cose nuove.

Parliamo dei suoi personaggi: Companion, BFF, Chum… Qual è il loro ruolo nel suo lavoro?
I personaggi sono il mio modo di comunicare. Permettono alle persone di instaurare relazioni universali, senza barriere linguistiche, e riflettono emozioni che non sarebbero così immediate con figure umane.
Alcuni critici vedono nei suoi personaggi fragilità e ansia. E’ d’accordo?
Cerco di essere autentico. Non voglio eroi eternamente felici, ma figure che generino un dialogo sulla condizione umana, riflettendo ciò che viviamo nel momento.

I personaggi nel cortile hanno entrambi uno smartphone. Perché?
È inevitabile. Gli smartphone fanno parte della nostra vita e della comunicazione quotidiana. La scultura riflette il tempo in cui viviamo, senza giudizio.
Ha spesso fatto riferimento all’iconografia classica, per esempio nella sua opera Gone. Come si rapporta a questo linguaggio storico?
Gone nasce dal lutto per mio padre e dal desiderio di elaborarlo. Il riferimento al Rinascimento è consapevole, ma per me è un significato personale. Per l’installazione qui, il legno offre calore e dialoga con l’architettura del cortile.

Perché ha scelto il legno?
Scelgo i materiali in base allo spazio e al tipo di opera. Il legno conferisce vulnerabilità alle sculture monumentali, mentre i gonfiabili permettono installazioni grandi ma temporanee.
Qual è stato il progetto più complesso dal punto di vista tecnico?
Ogni progetto ha le sue sfide. L’installazione nel Victoria Harbor a Hong Kong è stata complicata: trasporto, montaggio, permessi governativi, manutenzione quotidiana… ma ogni difficoltà è anche una parte del processo creativo.

Ha portato il suo lavoro anche nel digitale, come su Fortnite. Ci racconta questa esperienza?
Prima della mostra alla Serpentine avevo collaborato con Trevor Scott su un concerto in Fortnite. L’idea di trasferire la mostra nel videogioco è nata da lì. È stata una contaminazione sorprendente tra museo e mondo dei videogame, che ha coinvolto milioni di visitatori.
Il suo lavoro richiama la Pop Art e l’idea di democratizzare l’arte, come i Pop Shop di Haring o Warhol. Ci parli di OriginalFake a Tokyo e del dialogo con Warhol?
Da giovane ero affascinato da grafica e riviste. Ho voluto creare opere diffuse, accessibili, sia in grande scala sia come piccoli oggetti da vivere quotidianamente.

E’ anche un collezionista. Come sceglie le opere e cosa significa per lei collezionare arte?
Collezionare è un modo per capire e imparare dagli altri artisti. Mi aiuta a riflettere, a uscire dalla mia testa e ad osservare percorsi diversi, creando uno spazio di apprendimento continuo.
Intervista raccolta da Arturo Galansino, Direttore generale Fondazione Palazzo Strozzi
Ritratti: Ludovica Arcero
Installation Views: Ela Bialkowska, OKNO studio © KAWS
Disegni: Courtesy Palazzo Strozzi
