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05.11.2024 #arte

Masbedo

Fare arte in coppia? E’ arricchimento continuo

 

«La nostra organizzazione del lavoro si fonda su una sinergia che unisce visioni spesso differenti ma sempre complementari»

Fragilità dell’arte,  fugacità della bellezza, necessità di preservare la memoria attraverso il patrimonio artistico. Ma anche incomunicabilità, forza ancestrale della natura, storia. Sono davvero tanti i temi che i Masbedo hanno esplorato nel corso della loro quasi trentennale carriera. Un’indagine costante che Jacopo Bedogni (classe 1970) e Nicolò Masazza di tre anni più giovane,  svolgono utilizzando i media più disparati: video, installazione, performance, teatro d’avanguardia, sound design e cinema.

Proprio alla Settima musa, il duo artistico – che attualmente vive tra Milano e Piacenza – si è affidato per la sua ultima fatica. Si tratta del film “Arsa”, presentato in anteprima internazionale in occasione della XIX edizione della Festa del Cinema di Roma, che sarà nelle sale nella primavera 2025 prodotto da Fandango. Il plot? E’ la storia di una ragazza misteriosa (l’attrice Gala Zohar Martinucci), fragile e forte al tempo stesso, che vive sull’isola di Stromboli, dove affronta immersa nella natura selvaggia le esperienze del lutto e della solitudine.

Cosa vi ha spinto a realizzare un film così enigmatico e selvaggio come “Arsa”?

«Arsa è stato guidato da una profonda fascinazione per il potere della natura e le sue interazioni con l’animo umano. L’idea di esplorare la relazione di Arsa, la protagonista, con un ambiente così potente e primordiale è emersa dall’intento di rappresentare non solo il paesaggio fisico, ma anche il viaggio interiore del personaggio. La natura, nella sua forma più cruda e incontaminata, funge da specchio per le emozioni e i conflitti della ragazza, creando un’atmosfera in cui l’immaginazione e la solitudine si intrecciano. Questo aspetto ci ha permesso di esplorare temi universali come l’identità, l’isolamento e la ricerca di significato. Inoltre, la scelta di un’isola come Stromboli, con la sua bellezza mozzafiato e la sua potenziale minaccia, ha aggiunto ulteriori strati di complessità, rendendo il film un viaggio visivo e sensoriale che invita gli spettatori a riflettere sul loro stesso rapporto con la natura e la propria solitudine»

Avete scelto di lavorare in coppia eppure l’incomunicabilità è uno dei temi più essenziali del vostro lavoro. Non è un po’ un controsenso?

«Quello dell’incomunicabilità è un tema che abbiamo affrontato molto all’inizio del nostro percorso. Sembra paradossale, ma in realtà può essere proprio il lavoro in coppia a metterlo maggiormente in luce. Collaborare implica una costante interazione, il che rende evidente quanto possa essere difficile, e talvolta frustrante, comunicare veramente, anche con chi si lavora a stretto contatto. Questo discorso però riflette anche il nostro interesse per il modo in cui la società contemporanea, nonostante sia fortemente incentrata sulla comunicazione, spesso affronta sfide significative nel tentativo di comunicare in modo efficace. C’è una contraddizione nell’essere in costante connessione ma non riuscire spesso ad avere una comunicazione emotiva. La nostra serie di lavori che rientrano sotto il titolo “Trilogia dell’incomunicabilità” scandaglia proprio queste tematiche»

Qual è il più grosso problema nel lavorare in due?

«Sicuramente la gestione delle differenze individuali. Ci capita di avere idee leggermente diverse che rendono il processo creativo più complesso, ma “la complessità” non ci spaventa»

E la più grande potenzialità?

«Lavorare in coppia è un arricchimento continuo, proprio per i nostri background e le inclinazioni differenti siamo in grado di trovare una buona sintesi. Un altro vantaggio è avere sempre qualcuno con cui affrontare un percorso, quello della ricerca artistica, che di solito è piuttosto solitario»

Dallo sviluppo del concept fino alla realizzazione: come organizzate il vostro lavoro?

«La nostra organizzazione del lavoro si fonda su una sinergia che unisce visioni differenti ma complementari. C’è sempre una fase importante di studio e ricerca, che permette di dare struttura alle nostre intuizioni. Dal punto di vista organizzativo personalmente (Nicolò Massazza), ho una prospettiva più registica, in grado di abbracciare il concetto globale del progetto, dalle sue origini fino alla sua realizzazione. Invece io (Iacopo Bedogni) mi distinguo per un’attenzione ai dettagli che richiama un occhio più fotografico. Questa capacità di focalizzarsi su ogni singolo elemento visivo arricchisce la nostra opera. Questo contrasto nelle nostre prospettive ci consente di armonizzare il grande quadro con i particolari, creando un’esperienza visiva e narrativa completa»

All’inferno suonano sempre la stessa canzone: quale?

«All’inferno suonano le idiozie di alcuni rapper o trapper, i loro “testi” e sei condannato ad ascoltarli a 50 e 60 anni…»

Qual è l’opera che vi commuove di più?

«”Dancer in the dark” di Lars Von Trier»

A quale progetto state lavorando in questo momento?

«Ora pensiamo alla promozione di “Arsa”, allo sviluppo di un nuovo video e alla scrittura di un nuovo film».

 

Intervista: Germano D’Acquisto

Ritratti: Ludovica Arcero

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