Tre artiste per un futuro possibile: il MAXXI BVLGARI PRIZE parla al femminile
All’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, l’altra sera, l’arte italiana ha fatto la sua mossa. Non una celebrazione, ma un’incursione: elegante, lucida, e un po’ sovversiva. In scena, la quinta edizione del MAXXI BVLGARI PRIZE, il premio che da dieci anni unisce il museo e la maison romana per sostenere le nuove frontiere dell’arte contemporanea. Questa volta, però, qualcosa è cambiato. I tre nomi finalisti — Chiara Bersani, Adji Dieye e Margherita Moscardini — compongono una terna tutta al femminile. Tre visioni diverse, tre posture del presente, tre modi di spostare l’asse del discorso: il corpo, la memoria, lo spazio.
L’atmosfera parigina era quella dei debutti silenziosi che sanno di rottura. A fare gli onori di casa Maria Emanuela Bruni, Presidente Fondazione MAXXI, Matteo Morbidi, Direttore Fondazione Bvlgari, Francesco Stocchi Direttore Artistico MAXXI, introdotti da Stefano Questioli, che ha portato i saluti del Direttore Antonio Calbi. Bruni ha parlato di arte come linguaggio identitario, capace di “immaginare il domani” — una frase che, detta in una capitale come Parigi, suona come un posizionamento politico. Morbidi ha sottolineato come il premio, ora sotto l’egida della Fondazione Bvlgari, rappresenti la continuità di un sostegno concreto alla creatività italiana. Stocchi, dal canto suo, ha rilanciato: “Il MAXXI BVLGARI PRIZE è una piattaforma viva, che non fotografa ma accelera il cambiamento”.
In sala, anche due delle tre finaliste — Adji Dieye e Margherita Moscardini. Dieye, nata a Milano e cresciuta tra due continenti, smonta le narrazioni coloniali attraverso la lente della fotografia, che usa come strumento di verità parziale, fragile, per questo più reale. Moscardini lavora invece sulla forma dello spazio come corpo politico, riscrive i confini, mette in discussione il diritto ad abitare. Assente Chiara Bersani, trattenuta dal debutto della sua nuova performance Michel, the Animals I Am, ma evocata come simbolo di un corpo che non chiede permesso: il suo “unicorno gentile” resta il manifesto di un’estetica anarchica e necessaria. Nel 2026, le loro opere site-specific arriveranno al MAXXI in una mostra a cura di Giulia Ferracci. Lì, forse, capiremo cosa significa davvero parlare di arte italiana oggi: un territorio in mutazione, dove il linguaggio è corpo, il corpo è politica e la politica — finalmente — è femminile.
Testo: Germano D’Acquisto
Foto: Ayka Lux e Niccolò Campita
