A Venezia la Collezione Peggy Guggenheim celebra Fontana e le sue sublimi ceramiche
Venezia ha i suoi riti, e quello dell’altra sera alla Collezione Peggy Guggenheim è stato tra i più eleganti e contesi della stagione. Sulle rive del Canal Grande si è inaugurata Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana, la mostra che riporta il maestro dello Spazialismo alla sua dimensione più terrena — quella della creta, del fuoco e delle mani sporche. Curata da Sharon Hecker, l’esposizione, aperta fino al 2 marzo 2026, raccoglie circa settanta opere che riscrivono il profilo di un artista troppo spesso confinato nel mito dei tagli.
All’opening, un parterre che sembrava uscito da un atlante contemporaneo dell’arte: Pietrangelo Buttafuoco, Dries Van Noten, Karsten Greve, Nicolò Favaretto Rubelli, David Landau, Jacopo Venturini, Fabrizio Plessi, Arthur Libera, Patrick Vangheluwe — un pubblico in cui collezionisti, curatori, stilisti e direttori si mescolavano tra un calice e un commento tecnico sulla consistenza dello smalto. La direttrice Karole P. B. Vail ha sottolineato con soddisfazione l’unicità del progetto: “È la prima volta che un museo dedica un’intera mostra alla produzione ceramica di Fontana. Un’occasione per scoprire la sua relazione più intima e sperimentale con la materia.”
La curatrice Sharon Hecker, storica dell’arte di precisione chirurgica e immaginazione sensuale, ha parlato di “un lato più fragile e profondo di Fontana, nato da un rapporto fisico e quasi rituale con l’argilla.” Ed è proprio questo che colpisce, entrando nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni: la sensazione di trovarsi davanti a un altro Fontana, più umano e disarmato, ma non meno audace.
Dalle figure di donne e arlecchini alle creature marine, dalle sculture religiose ai prototipi d’arredo, Mani-Fattura costruisce un viaggio che intreccia continenti e decenni, restituendo alla ceramica la dignità del bronzo e del marmo. Le superfici smaltate, lucide, spezzate, raccontano la stessa tensione verso lo spazio che avrebbe poi condotto ai celebri tagli, ma con un calore più istintivo, quasi domestico.
Durante la serata, tra gli ospiti si parlava di “mostra rivelazione”. E forse lo è davvero: Fontana qui non è il genio distante, ma un artigiano che sperimenta, un uomo che plasma e si lascia plasmare. Il suo gesto, invece di ferire la materia, la fa respirare. In un’epoca che tende a mitizzare il gesto distruttivo, Mani-Fattura celebra la creazione come contatto, come intimità, come ritorno all’origine.
Sul Canal Grande, intanto, un vernissage perfetto, sospeso tra il glamour e la polvere d’argilla. Venezia non poteva immaginare cornice migliore per riscoprire un artista che, ancora una volta, ha saputo sporcarsi le mani per arrivare altrove.
Testo: Germano D’Acquisto
Foto: Niccolò Campita
