07.10.2025 Rome #arte

Urs Fischer

La routine mi uccide: non mi vedo in studio a fare sempre la stessa cosa

“Per me l’arte non è come una canzone alla radio che ti dà un brivido immediato: è qualcosa che entra lentamente nella mente”

Alla Gagosian Roma arriva After Nature, un mondo sospeso firmato Urs Fischer: otto nuovi dipinti su alluminio ricoperti di polvere, una scultura morbida che invita a sdraiarsi, e un’installazione video che ti restituisce la tua immagine… con cinque secondi di ritardo. Entrare in questa mostra significa sentirsi dentro una realtà che piega il tempo, dilata lo spazio e trasforma oggetti e figure familiari in visioni inattese. I pannelli di polvere scintillano come stelle cadute in un deserto immaginario, e ogni granello sembra avere una storia propria, un battito lento che richiede attenzione. E mentre i visitatori si muovono tra la galleria e Villa Medici, dove dal 18 settembre al 22 novembre 2025 è esposta Dance, la scultura scheletrica che dialoga con Canova, si percepisce la poetica di Fischer: rispettosa ma irriverente, lenta ma potente, capace di trasformare lo sguardo, di far fermare chi osserva, di far respirare l’arte. Abbiamo incontrato l’artista svizzero per parlare di disciplina, di scheletri e di tempo sospeso, scoprendo che per lui l’arte non deve spiegare tutto, ma entrare lentamente nella mente, insinuarsi nei pensieri e restare, anche molto tempo dopo averla lasciata…

Che messaggio vuole trasmettere attraverso i suoi lavori?

No, non penso mai a un messaggio. Semmai penso a una disciplina: se posso, cerco di inserire un solo tema in un’opera, non cinque. Perché quando ci metti troppe cose, alla fine nessuna riesce davvero a comunicare. Per me l’arte non è come una canzone alla radio che ti dà un brivido immediato: è qualcosa che entra lentamente nella mente, e magari resta impressa anche per il contesto in cui l’hai vista. Pensa a quando ti capita un quadro in casa di un amico: all’inizio non ti convince, poi dopo qualche giorno quasi inizi a parlarci, a stabilire un legame con quella tela.

La scultura Dance è esposta a Villa Medici ed è un’opera che dialoga con Canova. Eppure il protagonista è uno scheletro…

Lavoro con gli scheletri da circa venticinque anni. Sono comparsi quasi per caso: un giorno ho iniziato a scolpirli e da allora, anche se a volte li lascio da parte, ritornano. Come in questo caso. Ho cercato di inserirlo senza tradire l’integrità dell’opera di Canova. Le due figure si intrecciano, ma frontalmente il Canova resta intatto, lo lascio essere ciò che è. Il mio intervento entra lateralmente, o da dietro. È una presenza aggiunta, ma non invasiva.

La composizione infatti funziona proprio grazie a questo incontro, a questa collisione…

Già. Ho voluto anche rispettare un’altra cosa: non tutte le sculture sono pensate per essere viste a 360 gradi, alcune hanno chiaramente un fronte e un retro. E qui ho cercato di seguire quella logica, giocando con l’idea di una visione nello spazio, ma sempre con discrezione.

 

Il significato stratificato di certi suoi lavori può essere letto come una forma di resistenza rispetto al mondo di oggi che vuole solo risposte chiare e nette?

Posso rigirarti la domanda? Non è forse proprio il voler pretendere risposte chiare a tutti i costi una forma di resistenza? Ci sono tanti modi diversi di vedere le cose. Penso che, come artista — ma vale anche per molti colleghi e amici — ci si renda conto di questo col tempo. Alcune pratiche artistiche sono molto forti, ma anche molto definite, univoche. Hanno una visione chiara, precisa. Io però non ho mai pensato così, nemmeno da ragazzino. E non lo faccio nemmeno ora. Mi concedo di lavorare con ciò che mi interessa, qualunque cosa sia. Da fuori può sembrare complicato, e non so nemmeno se sia la scelta più sensata, ma rispecchia la mia natura. Ho interessi diversi e non riuscirei a immaginarmi in studio ogni giorno a fare sempre la stessa cosa. Amo Giorgio Morandi, davvero, ma quella concentrazione estrema mi farebbe impazzire. Quell’iper-focus, ecco, mi manderebbe fuori di testa.

Chiudiamo con una domanda classica: progetti futuri?

Sto iniziando a lavorare un po’ sui mobili. A Roma per esempio la scultura centrale è un divano. Lo faccio in modo leggero e mi diverte. Negli ultimi mesi mi sono immerso molto in questa nuova esplorazione.

Testo: Germano D’Acquisto
Ritratti: Ayka Lux
Intallation views: Courtesy Urs Fischer e Gagosian Gallery Roma

 

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