Constance Guisset
Un oggetto di design deve essere accogliente ed esprimere dolcezza
“Penso che l’aspetto poetico di un progetto derivi dall’incontro tra delicatezza e rigore. Dal cercare di allineare forma e funzione”
In un mondo dell’arte e del design che si muove spesso per contrasti – bianco o nero, pieno o vuoto, classico o contemporaneo – Constance Guisset porta avanti, con ostinata grazia, l’arte dell’equilibrio. Alla fiera FAB Paris 2025, l’appuntamento internazionale che dal 20 al 24 settembre trasforma il Grand Palais in un palcoscenico di meraviglie, la designer francese firma con la scenografa Sylvie Zérat un intervento che si colloca tra sogno architettonico e rifugio condiviso. Archi colorati, strutture che sembrano sospese tra realtà e immaginazione, uno spazio fluido che invita alla sosta e alla conversazione. Non una semplice cornice, ma un’oasi progettata con la precisione di chi sa che il design non è solo forma, ma atmosfera. Constance Guisset, del resto, ha costruito la sua carriera proprio così: restituendo leggerezza al quotidiano, rendendo il movimento visibile, dando corpo a una poetica dell’accoglienza. Nata con la lampada Vertigo, ormai icona assoluta, ha saputo abitare territori diversi – dall’interior design all’illustrazione per l’infanzia – con uno stile sempre riconoscibile, fatto di delicatezza, morbidezza e intuizione. Le sue creazioni, siano esse una sedia, una luce o un’intera stanza, sembrano catturare un attimo prima che sfugga, una pausa prima del passo successivo. La sua traiettoria è atipica e per questo affascinante: dopo studi in economia e scienze politiche, un passaggio al Parlamento giapponese e infine il salto verso l’ENSCI, dove si diploma nel 2007. Da lì in poi, un susseguirsi di riconoscimenti, collaborazioni internazionali e incursioni teatrali – memorabili quelle con Angelin Preljocaj e Wang Ramirez – che l’hanno portata a concepire lo spazio come un organismo vivo, mutevole, empatico. L’abbiamo incontrata per parlare di movimento e meraviglia. E di quella tensione tutta sua tra solidità tecnica e leggerezza sognante che trasforma ogni progetto in una piccola dichiarazione d’amore.

Il suo lavoro è spesso descritto come un punto d’incontro tra delicatezza e rigore tecnico. Da dove nasce questa tensione, e come si trasforma in oggetti poetici?
È un modo molto interessante di porre la domanda. Penso che l’aspetto poetico di un oggetto derivi proprio da questo incontro tra delicatezza e rigore. Dal cercare di allineare forma e funzione. E anche dal trovare un equilibrio tra astrazione e figurazione. È un po’ quello che fa anche la poesia: evocare un intero universo con poche parole.
Che ruolo giocano la sorpresa e l’imprevisto nel suo processo creativo?
Un ruolo enorme! È uno dei momenti che preferisco: vedere cosa arriva, riconoscere quando un’idea sta prendendo forma. Amo fare molti test, lavorare facendo, realizzando modelli. È così che è nata la lampada Vertigo. Stavo sperimentando con dei nastri. A un certo punto, la forma si è attorcigliata. Et voilà! È sempre un’avventura giocosa, un piccolo miracolo inaspettato.

Ha lavorato per il teatro, per i bambini, per la grande distribuzione e per il mondo dell’arte. Come sceglie i progetti a cui dedicarsi?
In realtà credo che siano i progetti a scegliere me. Sono molto curiosa di tutto, e ogni nuovo progetto mi entusiasma. Raramente dico no a qualcosa di nuovo, e quando succede è per via di conflitti di agenda. Amo imparare, capire come vengono fatte le cose, come vivono e lavorano le persone.
Ha parlato di un’“ossessione per il comfort”. Ma che cos’è per lei un oggetto veramente confortevole?
È un oggetto che fa sentire accolti. È importante per me prestare attenzione all’esperienza dell’utente. Il corpo deve sentirsi a proprio agio, la mano deve avere voglia di toccare. Ma deve essere accogliente anche per la mente. Offrire un momento di contemplazione, aprire una porta all’immaginazione, esprimere dolcezza. Penso che le nostre giornate sarebbero diverse se vivessimo in un mondo fatto di forme tonde, e non solo di angoli retti.

Come direttrice dell’Hermès Académie des savoir-faire per il 2025, che tipo di dialogo immagini tra savoir-faire tradizionale e design contemporaneo?
L’Académie des savoir-faire è stato un programma davvero stimolante, per il pubblico, per gli accademici e anche per me! Ho imparato moltissimo e sono rimasta affascinata dai mestieri che ho scoperto. A breve inizieremo due settimane di laboratori con gli accademici e sono molto curiosa di vedere cosa porteranno, sia gli artigiani sia i designer.
La leggerezza è un valore ricorrente nel tuo lavoro. È una scelta formale, filosofica o persino politica?
Tutte queste cose insieme. Prima di tutto, cerco sempre di usare solo ciò che è necessario. Né più, né meno. Se è meno, l’oggetto non funziona. Ma perché di più? Per dire cosa, o dimostrare cosa? Trovare il giusto equilibrio è una ricerca di armonia attraverso il lavoro. Un po’ come nella danza: si vede solo la leggerezza del movimento, non la fatica dietro. È questo che voglio far vivere alle persone. E poi la leggerezza permette il movimento, come nella lampada Vertigo. È larga due metri ma pesa solo 500 grammi. Così si muove lentamente nell’aria. L’oggetto deve vivere la sua vita.

Come vede evolversi il design nei prossimi anni, tra intelligenza artificiale, sostenibilità e nuove estetiche?
Non lo so, è difficile dirlo perché ho la sensazione che stiamo vivendo un’epoca turbolenta. Di una cosa però sono certa: dobbiamo concentrarci sulla sostenibilità. Questo significa materiali e produzione, certo, ma non solo. Bisogna pensare anche a cosa sia un oggetto visivamente sostenibile, qualcosa che si desidera tenere in casa per decenni. Serve creare un legame emotivo, dare un senso all’oggetto. Nei progetti di architettura d’interni, vuol dire anche lavorare con l’architettura esistente, non contro di essa. Accettare che il nostro progetto è solo un passaggio dentro una storia più ampia.
Ha detto che ama farsi sorprendere. Cosa l’ha sorpresa di recente, nel lavoro o nella vita?
Le persone. Mi sorprendono sempre. Incontrare qualcuno di nuovo è sempre interessante.

Programmi per questa fine del 2025?
Tante cose molto entusiasmanti. Ho appena disegnato la mia prima collezione di occhiali per Morel, presentata giorni fa durante la Paris Design Week. Sempre a settembre, ci sarà la riapertura del Théâtre des Champs-Élysées a Parigi, progettato da Auguste Perret: ho avuto la fortuna di disegnare i nuovi spazi di accoglienza e il bar. Sto lavorando anche ai nuovi spazi collettivi dell’Institut National d’Histoire de l’Art. E ci sono molti altri progetti in arrivo per il 2026, in Francia e all’estero!
Testo: Germano D’Acquisto
Foto: Jean Picon
