Venezia 82 applaude Van Sant: stile e tensione sul tappeto rosso di Dead Man’s Wire
Gus Van Sant, assente dalla Mostra di Venezia da oltre trent’anni, torna con Dead Man’s Wire e porta con sé un cast di rarissima intensità. L’ultima volta che Venezia aveva accolto il regista di Louisville era il 1991, con Belli e dannati, pellicola che valse a un giovane e straordinario River Phoenix la Coppa Volpi. Due anni dopo arrivò Cowgirl – Il nuovo sesso, che il tempo ha ingiustamente un po’ dimenticato, e che oggi meriterebbe una rivalutazione attenta.
Il red carpet di ieri sera, invece, era tutto nel presente. Van Sant, premiato con il Campari Passion for Film, mentre il cast lo seguiva come una seconda pelle: la californiana Myha’la con un’eleganza disinvolta un po’ anni 70, e poi Cary Elwes, Dacre Montgomery e Colman Domingo (due candidature al Premio Oscar come miglior attore protagonista rispettivamente per la sua interpretazione nei film Rustin e Sing Sing).
Dead Man’s Wire (nel cui cast c’è anche la leggenda Al Pacino) racconta la vicenda vera di Tony Kiritsis, che nel 1977 prese in ostaggio Richard Hall, responsabile della banca che a suo dire lo aveva truffato, legandogli un cavo al collo connesso al grilletto di un fucile. Un thriller umano, teso e grottesco, portato in scena dalla sensibilità unica di Van Sant. Ma sul red carpet, più ancora che sullo schermo, la magia è stata vedere il regista trasformare quarant’anni di carriera in un evento visivo, tra ironia, stile e quell’eleganza americana che, a Venezia, fa sempre centro.
Testo: Germano D’Acquisto
Foto: Ludovica Arcero
