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25.11.2022 #design

Maria Cristina Didero

Vi racconto la mia Design Miami, fiera positiva e rivoluzionaria

“Il titolo The Golden Age punta sull’ottimismo ed è un augurio per un futuro migliore. Anzi d’oro”

È un po’ un orgoglio nazionale, perché è la stata la prima italiana a guidare Design Miami, la fiera di design più prestigiosa del pianeta (che si aprirà fra pochissimi giorni al Convention Center di South Beach, proprio ad una manciata di passi dall’Oceano Atlantico). Lei è Maria Cristina Didero, consulente, giornalista, autrice, curatrice. Laureata in Lettere e Filosofia a Bologna, poliglotta (parla correntemente anche il russo), appassionata di danza, è oggi considerata una delle curatrici più autorevoli a livello mondiale. Cresciuta a Rimini, sulla Riviera Romagnola, da anni vive a Milano con suo marito e le due piccolissime figlie.

Nel suo corposo curriculum ci sono numerose consulenze per brand come Vitra, Fritz Hansen, Lexus, Fendi, Louis Vuitton, un’esperienza nel ruolo di  editor-at-large della rivista Icon Design e la curatela di una serie infinita di mostre. Due su tutte: The Space in Between all’Holon Design Museum, in Israele e SuperDesign, progetto sul design radicale italiano, a New York. Abbiamo incontrato Maria Cristina nella sua casa milanese pochi giorni prima della partenza per la Florida.

Design Miami si svolge dal 29 novembre al 4 dicembre. Che fiera sarà?

Sarà una delle edizioni più imponenti. Le colonne portanti della manifestazione sono da sempre le gallerie, i curio (piattaforme espositive dove designer, curatori, galleristi presentano progetti ad hoc) e i partner (da Fendi a Panerai, da Audi fino a, novità di quest’anno, Orient Express) e i numeri di quest’anno si preannunciano davvero importanti. Sembra, insomma, che il titolo The Golden Age abbia stimolato un po’ tutti.

Qual è uno dei progetti più interessanti?

Ce ne sono davvero tantissimi. Scelgo quello firmato da Kohler, colosso della ceramica, che realizzerà all’interno del Convention Center una vera e propria Hammam in collaborazione con la designer libanese Nada Debs. Nada ha disegnato una piastrella di ispirazione Middle East all’interno del Waste lab di Kohler, il laboratorio dove tutto viene riciclato. Quindi si tratta di un progetto che associa il benessere psicofisico alla sostenibilità.

Perché ha scelto di chiamare l’edizione 2022 The Golden Age?

Tutto è nato a settembre dell’anno scorso. Stavamo rivedendo un po’ di luce dopo il buio della pandemia e così si è pensato a un titolo ottimista. Quasi un augurio per il futuro. L’idea di base è: grazie all’innovazione, alla tecnologia e alla collaborazione fra gli esseri umani potremo costruire un domani migliore per tutti.

Vitra, Fendi, Vuitton: il suo curriculum è molto prestigioso. Come si diventa curatori di design?

Non lo so. A volte sorrido quando vedo in giro tutti questi corsi per curatori. Tutto quello che ho imparato nella mia carriera, è stato sul campo. E pensare che mi sono laureata in Lettere e Filosofia a Bologna con una tesi trozkista dal titolo Fenomenologia della Grande rivoluzione francese nello studio della rivoluzione bolscevica.

Cosa succede a Maria Cristina quando non studia design, pensa alla Rivoluzione?

(Ride). Penso ai sogni di quando ero una bambina che desiderava salvare il mondo. Penso a tutto quello che avrei potuto fare se non avessi fatto ciò che faccio.

È vero che ha imparato a parlare il russo perché sognava di ballare al Bolshoi?

Sì. Sognavo di ballare al Bolshoi di Mosca o al Mariinskij di San Pietroburgo. Ma, temendo di non essere così brava, avevo trovato un escamotage: imparando a parlare il russo pensavo di poter aumentare le mie chances. Quindi ho iniziato a studiare il cirillico. In passato ho fatto l‘interprete nelle carceri e nei tribunali. Poi c’è stata l’ondata di turisti russi nella Riviera Adriatica e grazie alle traduzioni mi sono praticamente pagata l’università. Poi la vita mi ha portato da tutt’altra parte ma è stato un periodo della mia vita molto interessante. Quasi poetico.

Cosa differenzia un oggetto di design da un’opera d’arte?

Quello che non si può spiegare. Design e arte sono due mondi diversi anche se raccontano entrambi il nostro presente. Il design però ha un côté funzionale che amo e sento molto vicino, essendo io una persona molto pragmatica.

C’è però un oggetto che definirebbe arte?

Sì, è la Sedia per visite brevi o brevissime di Munari. Quella che ha una seduta impraticabile che non ti permette di sederti. Quando l’ho vista per la prima volta ho pensato: “Beh, ma questo non è design, è pura arte!”.

Cosa ne pensa dei designer che si definiscono artisti?

Credo sia semplicemente un problema di ego. Mantenere i piedi ben piantati per terra è sempre utile nella vita.

Secondo lei il design è diventato glamour come l’arte?

Sì, direi di sì. Negli ultimi anni i brand di moda, che poi sono quelli che più di altri riescono ad avere grande capacità economica, hanno guardato molto al design. La fiera di Miami lo testimonia. Quest’anno saranno presenti maison come Fendi, come Louis Vuitton, come Bottega Veneta che collaborerà con Gaetano Pesce, come Dolce e Gabbana, che per la prima volta presenterà in una fiera la sua altissima gioielleria.

Tre giovani su cui puntare…

Direi Sung Jang, l’israeliano Erez Nevi Pana e Sabine Marcelis.

Qual è secondo lei la forma più armonica in natura?

L’albero.

L’albero in generale o ne ha in mente uno in particolare?

Ne ho in mente uno in particolare ed è la quercia.

È una collezionista?

Sì. Colleziono soprattutto sgabelli, bottiglie in plastica e coperte di lana. Di sgabelli ne ho talmente tanti che quando mi sono sposata mi marito mi ha detto che più di una casa dovevamo comprare un cinema per mettere dentro tutte quelle sedute. Poi ho centinaia di bottiglie di plastica dalle forme più strane e con un graphic design ricercato. Infine, le coperte. Ne abbiamo tantissime. Alcune d’autore, altre addirittura realizzate appositamente per noi, altre ancora recuperate nei viaggi in giro per il mondo.

C’è un pezzo a cui è più legata?

Sì. È una coperta firmata dal design austriaco Arthur Arbesser. Siamo riusciti ad averla tre anni fa e la adoro.

Siamo quasi alla fine, è tempo di bilanci: come è stato guidare Design Miami?

Era la prima volta che mi sono trovata a guidare una fiera, solitamente sono abituata a lavorare con i musei. Devo dire che è stata una bellissima esperienza. Il tasso di creatività di design Miami è altissimi. C’è il meglio delle gallerie, ci sono aziende che coniugano commerciale e creatività. C’è una lista di talks davvero interessante che coinvolgerà star come Gaetano Pesce, A$AP Rocky ed Erykah Badu.

E dopo la fiera americana, che succederà?

In occasione del Salone del Mobile ci sarà alla Triennale di Milano una grande mostra omaggio a Droog Design, che quest’anno compie trent’anni. Considero Droog uno degli ultimi movimenti del XX secolo. Il collettivo olandese aveva esordito a Milano nel 1993 durante un Fuorisalone e ricordo perfettamente che quando arrivarono sulla scena lasciarono gli addetti ai lavori con la bocca aperta. Oggi, dopo trent’anni, i loro oggetti irriverenti, che all’epoca sembravano solo bizzarri, sono diventati icone indiscusse del design. Opere che si studiano sui libri di testo accanto ad altre leggende come la poltrona Proust di Mendini.

Il progetto alla Triennale sarà curato da me e da Richard Hutten (che ha fatto parte di Droog) e avrà un espediente narrativo assai innovativo. Negli anni 90 non c’erano i social media, non c’erano le Limited Edition, il mondo era diverso… Ma più di questo non posso dire. Il resto è top secret.

Intervista : Germano D’Acquisto

Foto : Andrea Marcantonio

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