28.04.2025 Venice #arte

Tatiana Trouvé

Porto dentro Palazzo Grassi frammenti di mondo esterno

“Mi intrigano gli incidenti che si verificano nelle fasi di passaggio: è come nella vita, dove i percorsi cambiano in modo inatteso”

Tatiana Trouvé ha costruito nel corso degli anni un universo poetico e visionario in cui il tempo e lo spazio si piegano e si intrecciano come in un sogno, trasformando il quotidiano in una dimensione surreale e sensoriale. Le sue opere sono scrigni di memoria, dove i ricordi si cristallizzano in sculture, disegni e installazioni che invitano lo spettatore a esplorare mondi interiori e esteriori, in un continuo gioco di rimandi tra il passato e il futuro. La sua mostra “La strana vita delle cose”, inaugurata a Palazzo Grassi, è l’occasione di immergersi in un labirinto temporale e mentale che attraversa il corpo e la mente, dove il pensiero stesso si trasforma in creatura plastica, un’opera d’arte vivente. Fino al 4 gennaio, la Pinault Collection apre le porte di Palazzo Grassi per ospitare una delle mostre più attese della stagione, la più grande retrospettiva di Tatiana Trouvé mai realizzata, nonché la sua prima grande esposizione in Italia. Un’opera corale, pensata in stretta collaborazione con l’artista, che coinvolge ogni angolo dello spazio espositivo. Tra le nuove sculture, i disegni monumentali e le installazioni site-specific, il pubblico avrà l’opportunità di entrare in contatto con il linguaggio unico di Trouvé, dove l’illusione si mescola alla realtà, e dove gli oggetti e le immagini appaiono e scompaiono, rivelandosi sotto diverse prospettive. Abbiamo incontrato Tatiana in occasione della mostra veneziana, per scoprire di più su come la sua ricerca artistica si sia evoluta nel tempo, dalle sue prime esperimentazioni, fino alla sua affermazione come una delle voci più originali dell’arte contemporanea.

Palazzo Grassi è uno spazio carico di storia. In che modo questo luogo ha influenzato la concezione della mostra?

Palazzo Grassi è stato rielaborato anche a livello architettonico per la mia installazione. Ho chiuso dei muri per cambiare il percorso, ne ho aperti altri per creare nuovi punti di vista, soprattutto quelli che si affacciano sul canale. Ho cercato di abbracciare l’architettura del posto, creando un dialogo con essa.

Può fare qualche esempio?

Certo, per esempio, nell’atrio centrale ho realizzato un grande intervento con asfalto, tombini e strisce pedonali in bronzo e alluminio, per portare dentro il palazzo un frammento di mondo esterno. E’ un po’ come se a Venezia confluissero tutte le acque del mondo. Salendo ai piani superiori, invece, questa terraferma si trasforma in una visione cosmica, come un cielo nero stellato.

La mostra è un labirinto immaginario dove confluiscono spazi fisici e immaginari. Che tipo di emozioni vuole suscitare nel visitatore? 

È difficile dire con precisione, perché ogni spettatore ha il suo bagaglio personale e associa ciò che vede alle proprie esperienze. Tuttavia, dai primi riscontri, sembra che il percorso della mostra sia percepito come fluido e naturale. Nel primo piano si entra nelle tre dimensioni dei miei disegni, mentre al secondo piano ci si ritrova davanti ai disegni stessi. Questo crea un continuo rovesciamento di punti di vista e di percezione.

Nei suoi lavori c’è spesso un passaggio tra solidità e impermanenza. Perché?

Penso che sia la vita delle cose. Mi intrigano gli incidenti che possono verificarsi in questa fase di passaggio. Ad esempio, una volta un’enorme cera è caduta durante la produzione: ho deciso di lasciarla così com’era, perché il risultato finale raccontava qualcosa di inatteso. Questo elemento di imprevedibilità mi interessa molto: è un po’ come nella vita, dove i percorsi possono cambiare in modo inaspettato.

Un sogno che aveva da bambina? 

Mi sarebbe piaciuto diventare una ballerina, ma non ero così brava…

 

Intervista: Germano D’Acquisto

Ritratti: Niccolò Campita

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