05.04.2025 Milan #design

Marta Sala

Bisogna conoscere il passato, dialogare col presente e avere uno sguardo sul futuro

“Il millimetro conta. È lì che si applica un saper fare che fa la differenza tra un pezzo di design e un semplice oggetto”

Milanese da generazioni, parigina per affinità, Marta Sala porta nel nome della sua maison un doppio sguardo. Marta Sala Éditions — fondata dieci anni fa senza showroom e con dieci pezzi inediti — non è solo un brand, è un gesto culturale. Un’eredità che parte da Azucena, l’azienda di famiglia fondata dalla madre Maria Teresa Tosi insieme a Luigi Caccia Dominioni (suo zio), Ignazio Gardella e Corrado Corradi Dell’Acqua che ha fatto la storia del design italiano, ma che si spinge oltre, verso un’idea nuova di abitare: più libera, nomade, dialogante. A raccontarlo è lei stessa, oggi, in occasione del decimo anniversario del marchio e della mostra The Secret Soul of Useful Things, curata da Federica Sala al museo Bagatti Valsecchi durante il Fuorisalone. Un titolo che è una dichiarazione poetica che contiene già tutto: l’anima, l’utile, il segreto. Come i mobili che disegna e produce insieme ad architetti e designer con cui costruisce vere conversazioni progettuali — da Lazzarini & Pickering a Federico Peri, fino ai recenti omaggi al legno firmati Herzog & de Meuron. Questa è una storia di precisione e affinità, dove ogni millimetro ha un peso e ogni oggetto, se deve esserci, deve essere anche bello. Perché, come diceva suo zio Luigi Caccia Dominioni, il dettaglio è tutto. E Marta non ha mai smesso di crederci. La incontriamo nei giorni vibranti della design week milanese.

Dopo aver fatto parte dell’azienda di famiglia Azucena per 25 anni, fonda nel 2015 il suo brand di design. Da dove nasce quest’esigenza di creare qualcosa di suo?

MARTA SALA:

In Azucena mi rendevo conto di quanto fosse difficile introdurre elementi contemporanei. Avevo la sensazione che stessimo perdendo il contatto con l’evoluzione del mondo. Così ho deciso di intraprendere un nuovo percorso, portando con me un grande bagaglio di conoscenze, ma con un’idea molto chiara: creare qualcosa di contemporaneo, con la stessa attenzione alla qualità e alla progettualità, ma in chiave nuova. Con nuove persone, nuove esigenze. Il mondo dell’abitare stava cambiando e sentivo che fosse necessario rispondere a questo cambiamento. Io non credo in quella nostalgia sterile del passato. Credo nella creazione contemporanea, nella qualità del presente, e penso sia importante affermarla. In grande o in piccolo, va comunque dichiarata con forza.

Ogni collezione è il risultato di un dialogo tra lei e i designer con cui decide di lavorare, con gli artigiani che daranno vita ai pezzi, e con i clienti che sono attivamente coinvolti nel processo creativo. In un mondo in cui il dialogo sembra perdere valore, lei ha scelto di impostare tutto sul confronto. Quanto coraggio ci è voluto?

MARTA SALA:

Per me è stato naturale, sono sempre stata abituata a dialogare con le persone e con le cose. Gli architetti e i designer sono per me fonte di ispirazione, ma devono anche confrontarsi con l’imprenditore. Io credo molto in questo scambio, in questo dialogo critico e costruttivo. Oggi si parla poco di critica, ma io la trovo fondamentale: è stimolante, è sana. Il confronto con un interlocutore che ti pone domande o ti fa richieste è sempre generativo. Nel design italiano, storicamente, c’era questo dialogo continuo tra imprenditori e creativi. Ed è un dialogo che porta valore, completezza e autenticità al progetto. Ognuno ha il suo sapere: l’imprenditore, il designer e l’artigiano. Quando questi tre saperi si incontrano, nascono progetti completi, veri.

Qual è stata la sfida più grande in questi primi dieci anni?

MARTA SALA:

All’inizio ero così convinta della forza dei miei pezzi che non mi sono nemmeno posta il problema di come sarebbe andata commercialmente. Pensavo che tutta la clientela di Azucena sarebbe passata naturalmente a me. Invece no, è stato un inizio molto difficile. Nessuno mi cercava, mi mandavo mail da sola pensando che forse la posta elettronica non funzionasse. Poi, pian piano, con la forza di un’identità precisa – che si vede nei tratti, nei materiali, nell’italianità dei miei pezzi – ho trovato il mio spazio. Il mercato è complesso, c’è molta offerta, ma poca identità. Chi ha capito il mio valore sono stati soprattutto gli architetti: sono loro i miei interlocutori privilegiati, quelli che capiscono cosa posso portare, in termini di fattibilità, finitura e disegno. Con loro si creano relazioni di fiducia profonde. Il design, almeno quello che intendo io, è ancora un mondo autentico, fatto di persone vere, di artigiani, progettisti, clienti. Un pezzo di design deve essere bello, funzionale, vero. E per me il design è proprio questo: un’idea forte, realizzata con una qualità progettuale e produttiva che ha anche una sua etica, un equilibrio nel rapporto qualità/prezzo. In questo senso, il nostro mondo è ancora puro, meno contaminato rispetto alla moda o all’arte.

Come è cambiato il design dal 2015 a oggi?

MARTA SALA:

È cambiato tantissimo. La pandemia, per esempio, ha interrotto molte dinamiche, anche quelle legate al modo in cui si acquista. Oggi si compra più d’impulso, in maniera meno ponderata. Inoltre, molti architetti e designer hanno iniziato ad autoprodursi, tagliando fuori il confronto con l’imprenditore. E questo, secondo me, è un errore: si perde il contraddittorio, il dialogo. C’è una grande riscoperta del “craft”, del fatto a mano, ma attenzione: il saper fare non basta. Il design ha bisogno di progetto. Un buon pezzo nasce da un’intuizione forte, da un’idea chiara, da cui derivano tutte le scelte successive.

E invece come è cambiata lei in questi dieci anni?

MARTA SALA:

Ho cercato di capire cosa stava succedendo intorno a me, ma non è stato facile. A un certo punto mi sono sentita spiazzata, perché la mia forza è sempre stata la presenza, il contatto diretto. Il fatto che i clienti vedessero i miei pezzi dal vivo, li toccassero, ne percepissero l’anima. Tutto questo, online, non è possibile. Ho avuto un momento di smarrimento. Ma poi sono tornata a puntare sulle relazioni umane, sul dialogo con architetti, clienti, artigiani. Il mio è un lavoro molto su misura: ogni pezzo nasce da esigenze specifiche. Di recente, per esempio, ho lavorato al restauro del Teatro della Cometa a Roma. Mi hanno chiesto dieci divani dello stesso modello ma tutti diversi: altezze, profondità, lunghezze variabili. Questo tipo di lavoro è possibile solo grazie a una produzione flessibile e ad artigiani che mi seguono con dedizione.

La qualità artigianale è un valore fondamentale per lei. Come riesce a coniugarla con la produzione in serie, senza comprometterne l’autenticità?

MARTA SALA:

Il design italiano ha un modo unico di unire tecnologia e artigianato. Ci sono piccole e medie imprese con macchinari avanzatissimi – tagli laser, macchine a cinque assi – ma poi i pezzi vengono finiti a mano, spesso dagli stessi artigiani all’interno dell’azienda. Questo permette di avere numeri interessanti, ma con una cura del dettaglio da pezzo unico. L’anno scorso, per esempio, abbiamo prodotto tra i 300 e i 400 pezzi, tutti curati uno per uno. La sfida è proprio questa: offrire ai clienti la qualità del su misura, ma con la possibilità di avere 50 sedie, dieci divani. I miei clienti – anche nel mondo della moda – apprezzano questa dimensione sartoriale. E io ci tengo molto: è un saper fare italiano che dobbiamo preservare, sostenere e far conoscere, perché davvero nessun altro al mondo sa lavorare così.

Per Hubert de Givenchy “Il lusso è nell’equilibrio tra discrezione ed esclusività.” Lei come lo definirebbe?

MARTA SALA:

Trovo interessante come in francese il termine “luxe” evochi immediatamente eleganza ed eccellenza, mentre in italiano “lusso” ha spesso una connotazione quasi volgare. È davvero curioso. Quando parlo di “luxe” in francese, lo traduco raramente con “lusso” in italiano: preferisco usare parole alternative, come “eleganza”. Anche “distinzione” è un termine che mi piace, forse legato a una certa Milano del passato, ma che per me resta molto significativo. Eleganza, qualità, rigore: sono elementi fondamentali. E poi c’è sempre quell’aspetto nascosto, da scoprire, che rende tutto più intrigante.

Sua madre, Maria Teresa Tosi, è fondatrice di Azucena, suo zio è l’architetto e il designer Luigi Caccia Dominioni. Che aria ha respirato da bambina?

MARTA SALA:

Era un ambiente vivacissimo. Azucena era come un salotto dove passava di tutto. Mia madre era una donna instancabile: alle 8:30 del mattino era già nello showroom, perché – diceva – gli uomini venivano a comprare presto. Ed era vero: arrivavano banchieri e clienti a scegliere scrivanie, tavoli da riunione. Un modo di lavorare straordinario, che mi ha profondamente ispirato.

In che modo quest’eredità ha condizionato il suo modo di lavorare?

MARTA SALA:

Dieci anni fa ho avuto la fortuna di fondare la mia azienda. Avevo 47 anni e ho voluto impostarla più come un modo di vivere che come un semplice lavoro. L’ho voluta libera, indipendente e naturalmente basata sul tanto lavoro. Ho cercato l’unicità. Quando le persone entrano da Marta Sala Éditions, spesso restano affascinate, come se si innamorassero di quel mondo. E per me è importante condividere quei valori attraverso oggetti che entrano nelle case, nella vita quotidiana. C’è quasi una responsabilità in questo: offrire una piccola qualità quotidiana, ogni giorno.

Vive tra Milano e Parigi. In che modo Parigi ha influenzato il suo approccio rispetto alla tradizione milanese?

MARTA SALA:

Il design italiano è fondato sul singolo pezzo, sulla progettualità e sul contenuto. I francesi, invece, sono molto bravi nel dare misura e valorizzazione. Sono maestri nel creare ambienti, nel costruire scenari. Per me è stato un grande arricchimento: ho pezzi molto forti che riesco a inserire in contesti diversi, a seconda che mi trovi in Italia o in Francia. Credo che, dopo una certa rivalità storica, Italia e Francia abbiano capito quanto siano complementari. Molto di ciò che è “Made in France”, in realtà, è prodotto in Italia. I francesi sono più forti nella diffusione culturale, nel fare sistema. Ma anche in Italia sta cambiando tutto. C’è una nuova consapevolezza del proprio valore, c’è come un risveglio. Siamo all’inizio di una nuova era: sono molto ottimista.

C’è un oggetto di design che la commuove?

MARTA SALA:

Quelli in cui riconosco una qualità di fattura altissima. Per esempio, questo nuovo tavolino: ci sono 40 ore di lavoro solo nella base in legno. Sembra una cattedrale gotica. Quando vedo questi pezzi, e vedo cosa riescono a fare gli artigiani, mi emoziono. Dico tra me: “Che bravi”. Sì, questo per me è davvero commovente.

Qual è la principale responsabilità di un designer oggi, anche in senso etico?

MARTA SALA:

Credo che la relazione col tempo sia fondamentale. Bisogna saper prevenire, ma anche fare cultura. Conoscere il passato, dialogare col presente e avere uno sguardo sul futuro. Serve conoscenza, umiltà, e la volontà di aggiungere qualcosa di nuovo. Non possiamo limitarci a ripetere sempre le stesse cose. Una volta mio zio disse che voleva creare “oggetti di affezione delle nuove generazioni”. Io cerco di fare lo stesso: voglio che i miei oggetti vivano a lungo nelle case, che creino legami affettivi. La sostenibilità è una parola che usiamo tutti, ma concretizzarla non è semplice. In parte, però, sta proprio in questo: creare oggetti duraturi, che attraversano le generazioni.

Suo zio diceva che “Il dettaglio è tutto: la differenza tra un oggetto qualsiasi e un pezzo di design sta nei millimetri”. Condivide?

MARTA SALA:

Sì. È una cosa che mi fa anche sorridere, perché la vivo quotidianamente con i designer con cui collaboro, si torna sempre lì: il millimetro fa davvero la differenza. Ricordo, ad esempio, le prime versioni della “Murena”, il pezzo forse più iconico della mia collezione, disegnato da Lazzarini&Pickering: le avevamo realizzate in spessore da quattro millimetri… si rompevano. Poi siamo passati a cinque, si rompevano ancora. Alla fine siamo arrivati a sei millimetri per la struttura, otto per lo sgabello. Quindi sì, il millimetro conta eccome.

…E questo legame con il dettaglio si riflette anche nel modo in cui i suoi oggetti sono rifiniti?

MARTA SALA:

Certo. Un’altra cosa che mi ha insegnato mio zio è che qualsiasi dettaglio, se c’è, deve essere bello. Ecco perché i miei pezzi sono rifiniti a 360 gradi: devono essere belli ovunque li guardi. Viviamo in un’epoca nomade. Le persone viaggiano, si spostano, cambiano casa. I mobili devono seguirle, adattarsi. In passato, la cultura dell’abitare era più rigida: c’erano regole su come stare a tavola, su come sedersi. Oggi invece, ci rivolgiamo a un pubblico molto più ampio, con abitudini diverse. Noi designer non possiamo più imporre come usare un oggetto. Possiamo solo offrire qualità, pensiero e bellezza. Poi ognuno li vive come vuole.

Il dialogo è sempre un elemento chiave della sua poetica.

MARTA SALA:

Sì, credo di sì. Tutto, alla fine, si riduce a instaurare un dialogo con le persone. C’è chi arriva a pensare che gli oggetti siano animati, che abbiano una sorta di vita interiore. E in effetti molti oggetti hanno un valore sentimentale fortissimo. Il titolo della mia prima mostra, pensato da Stefano Casciani, era “L’anima segreta delle cose utili”. Un titolo perfetto, che rispecchia appieno il mio approccio.

C’è sempre un filo rosso, una coerenza profonda. Come se ogni oggetto fosse parte di un racconto. Non crede?

MARTA SALA:

Sì, probabilmente perché a un certo punto qualcosa dentro di te guida tutte le scelte. La coerenza e l’identità per me sono fondamentali. Quando ho deciso di lanciarmi in questo nuovo progetto, volevo che fosse inattaccabile. Qualcuno potrà anche dire “non mi piace”, ma nessuno potrà dire che non c’è contenuto, ricerca, rigore. Non so se i miei pezzi siano contemporanei allo stesso modo, ma li sento nuovi, diversi da ciò che c’è sul mercato. Anzi, forse proprio fuori dal mercato. Fare collezioni è una scelta precisa: voglio esprimere un’identità forte, chiara. Per questo ogni anno propongo una collezione con un tema e un titolo. Quest’anno, ad esempio, esco con una collezione dal titolo “La Magie du Bois”, sono otto pezzi nuovi. Nessuno fa una cosa del genere. Ma per me è un modo per fare cultura, o almeno per contribuire a diffonderla.

 

Ritratti e foto: Ludovica Arcero
Intervista: Germano D’Acquisto

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